DialoghiAMO

a cura di Elisa Bordin - Psicologa Psicoterapeuta


Diciamo che dal titolo si capisce già il mio punto di vista: amo il dialogo e credo sia alla base del benessere individuale e delle relazioni.

Qualche tempo fa ho co-condotto con un collega pedagogista, Giulio Reggio, un incontro dedicato all’importanza del dialogo in famiglia. E da questo incontro è nato un buon dialogo tra professionisti, ma anche tra genitori ed operatori presenti: direi che è stato proprio un buon motore per smuovere riflessioni ed energie proattive e propositive.

Viviamo in una società in cui siamo sempre di corsa, in cui sopravvive meglio chi riesce a incastrare tutti i mille impegni che si hanno: il lavoro, le riunioni a scuola, i corsi opzionali dei/delle figli/e, una vita personale… Insomma, a volte sembra proprio un’impresa farci stare tutto nella propria agenda, ma alla fine ce la si fa, certo! Sempre di più, però, per fare ciò vengono sacrificate alcune importanti e buone abitudini, tra cui, appunto, quella del dialogo in famiglia.

Sembra quasi che ormai lo spazio del dialogo coincida con lo spazio/tempo del non-lavoro, ossia quando non lavoro, non ho nient’altro da fare posso dedicare quel ritaglio di tempo a dialogare con mio/a figlio/a. E così, di solito, ci ritroviamo con quella assurda domanda fatta alle otto di sera “com’è andata oggi a scuola?” seguita da quella fastidiosa e monotona risposta “bene” a cui non segue nient’altro se non frustrazione da parte di chi chiede e di chi dovrebbe rispondere. E’ anche vero che spesso anche noi adulti dopo giornata lavorativa, se qualcuno ci chiede “com’è andata?”, rispondiamo lapidariamente “bene!” sperando che non ci vengano fatte troppe altre domande per quanto siamo stanchi…. Quindi forse questa risposta la possono dare anche i/le nostri/e figli/e!

Ma siamo sicuri che il dialogo si riduca solo a questo? No, credo proprio di no! La parola dialogo significa propriamente “parlare tra”. Ci possiamo quindi riferire a un dialogo tra persone, ma anche a un dialogo tra sé e sé, un dialogo interiore. Quest’ultimo tipo di dialogo è molto importante, perché è alla base di ogni processo di riflessione, di pensiero e di progettazione; è dunque fondamentale sia per un buono sviluppo psicologico sia per un buono sviluppo di competenze cognitive. Ma come nasce questo dialogo interiore? Nasce dall’esperienza del parlare ed essere ascoltati e dell’ascoltare quando qualcuno parla. Emerge, dunque, qui, quanto sia fondamentale dialogare con i/le bambini/e.

Come per tante altre attività, potrebbe essere utile inserire all’interno della propria giornata uno spazio dedicato al dialogo, quasi una routine del dialogo, che inizialmente forse sarà un po’ forzata, ma poi diventerà terreno fertile per condividere pensieri, emozioni, vissuti, risate e anche lacrime. Questo spazio per molte famiglie può corrispondere al momento della cena: via i cellulari, spente le TV e diamo sfogo alla creatività dialogica! I/le bambini/e sono molto più creativi/e di noi e possono esserci di grande aiuto per organizzare questo momento: alcuni fanno la conta per decidere chi racconta per primo, altri fanno a turno in base al giorno della settimana e così via…

I/le bambini/e amano molto raccontare, ma ancora di più adorano ascoltare storie! Quante volte ci chiedono “mamma/papà mi racconti una storia?”. E a volte poco importa se ci mettiamo a raccontare di Cappuccetto Rosso, di Biancaneve, del nostro primo giorno di scuola o di come è stato quando abbiamo scoperto che dopo poco loro sarebbero arrivati nella nostra vita, a volte basta raccontare/ascoltare. Narrare parti della nostra vita, o della vita dei/le nostri/e figli/e quando ancora non avevano l’uso della parola e quindi i loro ricordi sono incastonati in una memoria pre-verbale, molto più arcaica e molto meno accessibile in maniera conscia, ecco, narrare queste parti aiuta a ricostruire un file-rouge della propria esistenza. Narrare storie di vita vissuta significa anche narrare e parlare di vissuti emotivi, dare un nome a emozioni che a volte sono spiacevoli, ma non per questo meno decorose o meno legittime di quelle piacevoli. Si può incorrere a volte nella tristezza, nella paura, nella rabbia, ma se noi adulti siamo in grado di poterle raccontare, usando un linguaggio adeguato all’età di chi ascolta, anche i/le nostri/e bambini/e saranno in seguito in grado di raccontarcele, senza timore, consapevoli che possono provare emozioni spiacevoli, ma soprattutto possono condividerle e, come dice la parola stessa, condividerle vuol dire portarne il peso in due o più, che non è poi così male!

E così, in questi dialoghi, si recupera quell’antica e primordiale arte del raccontare e del saper ascoltare, del saper attendere pazientemente il proprio turno seguendo i tempi della narrazione, tempi che sono assai diversi dai tempi della frammentazione che spesso l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione ci dà. Pensiamo ad esempio alle comunicazioni su Whatsapp, su Facebook, su Twitter: spesso queste comunicazioni avvengono in contemporanea senza realmente prestare attenzione a nessuna in particolare e poi mancano di tutti quegli aspetti non verbali molto importanti.

La possibilità, dunque, che un/a bambino/a possa esperire l’arte del dialogo fornisce sicuramente un terreno più fertile per una buona alfabetizzazione emotiva, per una buona capacità relazionale, per la costruzione di un pensiero riflessivo e progettuale e per la formazione di un senso di appartenenza.

Ed è proprio con questo ultimo aspetto che vorrei concludere questo articolo. Ogni famiglia, nel tempo e nella propria arte del dialogo, costruisce nuove parole, un nuovo gergo, intese di cui sono proprietari solo i componenti di quella famiglia: si costruisce, insomma, un lessico famigliare. Ogni famiglia ne ha uno e la possibilità di riconoscerselo e di utilizzarlo consapevolmente fornisce la possibilità, ad ogni membro di quella famiglia, di sentirsi parte di qualcosa, di un gruppo affettivo. In una società in cui gli individui sono sempre più soli, in cui spesso si è centrati di più sull’individualismo, credo che avere la possibilità di sentirsi appartenere ad un gruppo affettivo che sa dialogare, narrare, ascoltare, sia una buona base di partenza per la costruzione di un benessere personale e relazionale.

Quindi, ora, buon dialogo a tutti/e!