Le regole che rassicurano: perché i bambini hanno bisogno di regole che tengano
a cura di Elisa Bordin - Psicologa Psicoterapeuta
a cura di Elisa Bordin - Psicologa Psicoterapeuta
Immagina di essere su una barca in mezzo al mare, senza una rotta, senza punti di riferimento, senza sapere dove stai andando. Ecco: così si può sentire un bambino che cresce senza regole chiare.
Molti genitori temono che mettere dei limiti significhi togliere libertà. Ma è proprio il contrario: le regole buone non ingabbiano, orientano. Offrono ai bambini la sicurezza di cui hanno bisogno per esplorare il mondo, sapendo che c'è un argine, una base sicura, un adulto che li contiene anche quando l'emozione è troppo forte o il comportamento va fuori rotta.
Non siamo qui per addestrare. Siamo qui per accompagnare.
Nel nostro quotidiano con i bambini capita spesso di perdere la pazienza. Ci sembrano disobbedienti, provocatori, “sfidanti”. Ma fermiamoci un attimo: davvero un bambino di tre o quattro anni può provocare con intenzione? O forse, più realisticamente, sta solo testando la tenuta dei nostri confini, come farebbe chiunque stia imparando a camminare e non sappia ancora dove finisce il sicuro e dove inizia il rischio?
Pensare all'errore come parte naturale del processo educativo — come fa Alison Gopnik con la sua potente immagine del genitore "giardiniere" — ci permette di cambiare sguardo. Gopnik contrappone due modi di essere genitori: il "falegname", che costruisce pezzo per pezzo seguendo un progetto predefinito, e il "giardiniere", che prepara un ambiente accogliente, protetto, ricco di stimoli e fiducia, sapendo che non può controllare tutto, perché ogni pianta crescerà a modo suo. Essere giardinieri significa osservare senza etichettare, accogliere senza correggere subito, offrire cura e confini, senza voler modellare.
La funzione evolutiva della frustrazione e il bisogno di autodeterminazione
Winnicott parlava di "ambiente sufficientemente buono" come quello spazio stabile e prevedibile in cui il bambino può sperimentare anche il dispiacere, la frustrazione, l'attesa. È proprio la possibilità di non avere subito ciò che si desidera che consente al bambino di passare dal principio del piacere al principio di realtà, come descritto in molte teorie dello sviluppo. In questa transizione, la regola svolge un ruolo chiave: è il limite che contiene, ma anche quello che educa alla tolleranza della frustrazione. La frustrazione, infatti, ha un significato evolutivo fondamentale: rappresenta il momento in cui il bambino incontra un ostacolo tra un desiderio e la sua realizzazione. È in questi spazi che si sviluppano risorse interiori come la capacità di attesa, l’autoregolazione, la flessibilità cognitiva e la resilienza.
Lucangeli ci ricorda che i bambini apprendono emotivamente attraverso microesperienze di disagio gestito, protetto, narrato. Evitare ogni forma di frustrazione, anche lieve, priva il bambino della possibilità di sperimentarsi come competente, capace di affrontare piccole difficoltà e di sviluppare un senso di autoefficacia. Un’educazione che cerca di eliminare ogni disagio rischia di creare adulti fragili di fronte alla realtà, incapaci di affrontare il rifiuto, il limite o l’imprevisto. È solo quando il bambino si confronta con il "no" – detto con cura, con fermezza e spiegato – che può iniziare a costruire la capacità di autoregolarsi, di rinviare la gratificazione, di dare senso alla frustrazione.
Allo stesso tempo, è fondamentale riconoscere che ogni bambino ha un bisogno innato di autodeterminazione. John Bowlby, con la teoria dell’attaccamento, ci ha insegnato che i bambini hanno bisogno di una "base sicura" da cui potersi allontanare per esplorare il mondo: un adulto presente, prevedibile, affettivamente accessibile, che li accolga al ritorno senza giudizio. Altri autori hanno, inoltre, approfondito questo equilibrio delicato tra il bisogno di vicinanza e quello di autonomia: un bambino ben sostenuto nello sviluppo dell’attaccamento è anche più libero di differenziarsi, esplorare, dissentire. Fonagy, infine, con il suo modello della mentalizzazione, ci mostra quanto sia importante che l’adulto riesca a riconoscere nella mente del bambino una mente autonoma, dotata di desideri, opinioni, pensieri propri. Validare queste intenzioni, anche quando non coincidono con quelle dell’adulto, è il modo per aiutare il bambino a costruire un senso di sé coerente, stabile e sicuro.
Ecco perché, quando un bambino si oppone a una regola, non sempre è un problema. A volte è solo un segnale sano di crescita, una tappa del processo di separazione e individuazione. Il dissenso può essere una forma di differenziazione: il bambino inizia a dire "io". In questi casi, il genitore non deve spaventarsi, ma restare saldo nel ruolo, mantenere il limite e, al contempo, accogliere l’emozione del figlio.
Come direbbe Fornari, ogni emozione ha una funzione: anche la rabbia del bambino, se accolta, può trasformarsi in un'esperienza di relazione e contenimento. E come ci insegna la Gopnik, l’arte del crescere non sta nel modellare ma nel creare condizioni favorevoli alla fioritura, anche quando il processo è faticoso, disordinato e imprevedibile.
Le regole sono la grammatica della relazione
Proprio come la grammatica ci permette di comunicare con gli altri in modo comprensibile, le regole sono una struttura relazionale che aiuta a stare insieme, a rispettarsi, a non perdersi. Non sono imposizioni fredde, ma cornici di significato. Quando un bambino sa cosa aspettarsi, si sente rassicurato. Quando una regola è condivisa, chiara e affettuosamente accompagnata, diventa uno spazio di crescita e non un ostacolo.
Regole poche, ma buone. E soprattutto: credibili.
Una regola funziona solo se tu per primo ci credi. I bambini sentono se una regola è autentica o solo "di facciata". E la testano. Sempre. Quindi chiediti: quali sono i paletti che per me sono davvero importanti? Su quali sono disposto a essere coerente, ogni giorno? Quelle sono le regole da mantenere salde.
Dare troppe regole, invece, rischia di confondere e logorare. Immagina un campo con cento paletti: tenere tutto fermo è faticosissimo. Se invece scegli quattro punti saldi — quelli che davvero contano — potrai essere presente, coerente, affidabile. E il bambino si sentirà contenuto, non schiacciato.
Le buone regole sono:
Poche: seleziona solo quelle davvero fondamentali, realistiche per l'età del bambino.
Chiare e concrete: niente frasi vaghe. "Metti in ordine" è troppo astratto. Meglio: "Metti le costruzioni nella scatola rossa."
Espresse con linguaggio positivo: "Cammina piano" anziché "Non correre".
Ripetute con pazienza: imparare significa riprovare, fallire, ricominciare.
Adatte all'età: un limite che funziona a 3 anni non sarà lo stesso a 7. I confini crescono con loro.
Coerenti tra genitori (evitiamo messaggi contraddittori) e coerenti nel tempo: le regole non possono cambiare ogni giorno. Se c'è un'eccezione, va spiegata chiaramente: "Stasera puoi andare a letto più tardi perché sono venuti a trovarci i nonni."
E poi, come scritto in precedenza, c'è un aspetto fondamentale: una regola tiene solo se tu ci credi davvero. Se non è importante per te, cadrà al primo test. Ma attenzione: questo non significa che possiamo ignorare regole che, pur non sentendole nostre, sono fondamentali per il benessere del bambino o per la convivenza sociale. Se non consideri importante arrivare in orario, per esempio, è utile chiedersi perché e riflettere sul significato relazionale e sociale di quella regola. Arrivare tardi in un servizio educativo, ad esempio, fa perdere ai bambini una parte delle routines molto preziose per il loro sentirsi contenuti e per dare a loro quel senso di prevedibilità e sicurezza di cui parlavamo. Le regole non devono rispecchiare solo i nostri valori individuali, ma anche quelli condivisi che aiutano il bambino a crescere nel rispetto di sé e degli altri.
Le regole che proteggono non puniscono
Punire non insegna. Connette alla paura, non alla responsabilità.
Le neuroscienze ce lo dicono con chiarezza: quando un bambino è sotto stress, spaventato, giudicato o umiliato, il suo cervello entra in "allarme". La parte razionale — quella che dovrebbe riflettere su cosa è giusto — si disattiva. Resta solo la reazione istintiva. E così, anziché imparare qualcosa, il bambino si chiude, o si difende, o si ribella.
Daniel Siegel lo spiega bene: quando puniamo un bambino, si attiva il sistema nervoso simpatico, quello deputato alle risposte di attacco o fuga. In quello stato il cervello superiore, e in particolare la corteccia prefrontale — dove risiedono le funzioni come l’autoregolazione, la riflessione, l’empatia — non si attiva. Quindi, nessun apprendimento reale è possibile in assenza di una relazione sicura e regolante.
Allora che fare quando rompe una regola?
Trasforma la regola infranta in un'occasione di apprendimento.
Hai disegnato sul muro? Puliamo insieme.
Hai spinto un altro bambino? Andiamo a chiedergli scusa.
Hai rovesciato l'acqua? Puoi scegliere se asciugare con la spugna o con lo straccio.
Dare alternative, coinvolgere, nominare le emozioni, spiegare le conseguenze: questo è educare.
Evitiamo anche i ricatti ("Se non fai questo, niente TV!"): funzionano nel breve, ma minano la fiducia e spostano la motivazione dall'interno all'esterno. Il messaggio diventa: "Valgo se mi comporto come vuoi tu." Ma un bambino ha bisogno di valere sempre, anche quando sbaglia.
Una regola è una dichiarazione di fiducia
Quando dici a tuo figlio: "So che puoi farcela a rispettare questo limite", gli stai dicendo: mi fido di te. E lui imparerà, piano piano, a fidarsi di sé e degli altri. Una regola stabile, coerente, significativa, è un atto di cura. Un atto di amore. E un modo potente per costruire legami affidabili.
✈️ Ti sei mai chiesto quali regole oggi ti guidano come adulto e da dove arrivano?
✈️ Quali limiti dai ai tuoi figli perché credi davvero che siano fondamentali per crescere?