"DATEMI TEMPO"
Garantire all'infanzia i giusti ritmi di crescita
a cura di Giulio Reggio - Pedagogista, Psicomotricista e Formatore
a cura di Giulio Reggio - Pedagogista, Psicomotricista e Formatore
Dobbiamo dare tempo ai bambini perché possano imparare a prendersi cura di sé e a stare bene nel mondo, per lo sviluppo del pensiero, per la socializzazione e il dialogo.
È vero, il contesto di oggi è segnato da tempi frenetici, dalla velocità della comunicazione, da una complessità crescente della vita quotidiana, specialmente nelle aree urbane dove alla cura dei bambini oggi si affianca spesso quella degli anziani, quasi sempre affidata alle donne; a tutto ciò fa da contraltare la tendenza a voler semplificare, a cercare scorciatoie – anche sostituendosi ai bambini e anticipandoli – per guadagnare tempo, almeno per quanto riguarda alcuni aspetti della crescita.
Pur tenendo conto delle difficoltà, credo sia comunque possibile e necessario trovare strategie, magari imperfette, per offrire ai nostri figli la possibilità di conquistare la propria autonomia nel fare, nel pensare, nel socializzare.
L’adulto si pone come mediatore tra l’oggi e il domani, tra i tempi dell'individuo e quelli della società.
Questa funzione nei primi anni di vita consiste nel fornire ai bambini strumenti per creare i presupposti di un’interdipendenza matura, aiutarli a stare nelle comunità e a comprendere l'ambiente circostante.
Occorre saper intravedere il futuro e nel contempo vivere nell’oggi per non incorrere in una precoce adultizzazione dell’infanzia – di cui si colgono oggi molti segnali – per evitare il rischio di un presente che anticipi il domani; non abbiamo bisogno di piccoli adulti prescolarizzati a cinque anni, ma in difficoltà a tollerare le frustrazioni, tenere una matita in mano nel modo opportuno, vestirsi da soli.
Come faceva rilevare un pedagogista:
"Il bambino ha delle competenze originarie che educatrici e famiglie apprezzano specialmente quando si presentano in anticipo."
Tutti i genitori hanno legittime aspettative che riguardano il futuro dei loro figli.
Sono pensieri che nascono già durante il periodo dell’attesa e svolgono una funzione importante perché contribuiscono a fare posto al bambino all’interno della coppia.
Sono legate alla propria storia personale, ai sogni non realizzati, alle passioni che ci piacerebbe trasmettere ai figli, al desiderio di mobilità sociale per i propri eredi, all’incertezza sul futuro che attraversa gran parte della società.
Con il passare del tempo però gli adulti corrono il rischio che l’educazione sia più orientata a rendere i bambini conformi alle proprie aspettative che a rispettare e valorizzare le potenzialità di ciascuno; il benessere del bambino è strettamente legato al rispetto dell’individualità e delle caratteristiche temperamentali, alla consapevolezza dei tempi diversi di apprendimento.
Il bambino vive nel presente, anche quando sogna di diventare grande, ma la nostra è una strana epoca e singolare è il tempo che dedichiamo a noi stessi e soprattutto ai nostri figli.
Qualche volta continuiamo a considerarli ancora piccoli quando già hanno le capacità di fare da soli tutta una serie di cose: gli diamo il biberon quando potrebbero usare la tazza – e così imparare movimenti più fini – li imbocchiamo quando potrebbero benissimo mangiare da soli – e nel frattempo alla scuola dell’infanzia lo fanno tranquillamente – e via dicendo.
I tempi di oggi – quelli frenetici in cui ore, minuti e secondi rappresentano una merce preziosissima – non permettono sempre alle bambine e ai bambini di avere l'agio di provare, sbagliare, correggersi, riprovare, raggiungere una capacità da spendere poi nei diversi contesti.
È opportuno ricordare che quando i bambini acquisiscono una nuova competenza apprendono qualcosa riguardante tanto la realtà esterna quanto se stessi, in termini di possibilità e limiti.
Questo tempo che non diamo oggi ai figli si tradurrà in una maggiore dipendenza da noi, che rischia di protrarsi a lungo.
Poi magari tutto cambia da un momento all'altro: nasce un fratellino o una sorellina, si trova o si ritrova un lavoro, un hobby, e i primogeniti devono diventare grandi e autonomi in una decina di giorni o poco più.
Occorre cercare queste occasioni nei fine settimana, nelle feste comandate, durante le ferie, semplicemente seguendo la richiesta, esplicita o meno:
“Aiutami a fare da solo!”
La collaborazione più grande arriva dai servizi educativi per la prima infanzia, il cui ruolo di affiancamento – e non di semplice supporto – diventa fondamentale: il tempo disteso, la vicinanza con i coetanei, la presenza discreta degli educatori permettono grandi conquiste sul piano dell'autonomia.
Quando prima mi riferivo al ruolo di mediazione degli adulti, pensavo anche alla capacità di avere presente gli effetti a lungo termine delle proprie modalità educative nei primi anni di vita; questa lungimiranza sembra andare in controtendenza con la rapidità della comunicazione digitale e della tirannia del “tutto e subito”.
Sottolineo ancora una volta che il cervello è caratterizzato prevalentemente da un pensiero lento, anche se in realtà ne esiste uno rapido, fatto di reazioni sensoriali ed emotive.
Le intuizioni, i voli della mente, "illuminazioni" e più in generale il processo dell'apprendimento hanno però bisogno del pensiero lento per svilupparsi e consolidarsi.
Dare tempo – per giocare, apprendere, relazionarsi con il mondo in questa fase della vita – favorisce lo sviluppo embrionale delle capacità critiche, del discernimento, della libertà di pensiero e di giudizio.
Peraltro in alcuni casi la “lungimiranza” degli adulti si nota, come dicevo più sopra, nella tendenza ad anticipare alcune competenze all’insegna del “prima è meglio”, magari a discapito di alcune abilità di base, con spiacevoli ricadute emotive e apparizione di premature ansie da prestazione.
Raccontare ai figli episodi dei primi mesi di vita li aiuta a sentirsi come “persone in cammino” che costruiscono giorno dopo giorno la loro identità; la narrazione da parte dei genitori e dei nonni delle proprie esperienze invita i bambini a relativizzare il punto di vista e a sentirsi parte di un mondo più grande, la lettura di racconti favorisce lo sviluppo del pensiero analitico rispetto al pensiero sintetico.
I bambini sono interessati ai racconti quando le storie rispondono alle loro curiosità, all’esigenza di vivere avventure attraverso il gioco dell’immaginazione e delle parole.
I servizi educativi possono offrire un tempo disteso anche per l’ascolto e il dialogo, che diventa particolarmente prezioso quando a casa adulti stressati, affannati o magari preoccupati fanno un po’ fatica a mantenere un dialogo non frammentato con i figli.
Il momento del pranzo, l’accoglienza mattutina alla scuola dell’infanzia e il tempo del cerchio, l’ascolto delle domande dei bambini e delle loro esperienze, i racconti delle insegnanti costituiscono semplici ma preziose occasioni per costruire legami duraturi e favorire la nascita di un modo di pensare profondo e meno autocentrato.
Questo rimanda alla necessità di un’alleanza tra famiglie e servizi educativi, una sorta di patto educativo, che dichiara e pratica la promozione del benessere nell'infanzia da parte della comunità nella sua interezza.